Essere mamme, contro ogni stereotipo

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Viviamo tempi curiosi in cui da più parti viene invocata la necessità di superare stereotipi, dall’altra si finisce per crearne altri, infilandosi in una spirale di hashtag, stories di Instagram, necessità di dare un nome e un’etichetta a tutte le cose: le mamme chiocce, le mamme manager, le mamme instagrammer. Mamme che tornano al lavoro dopo tre mesi (ma sei pazza? Così piccolo?), mamme che si prendono più tempo (ma sei pazza? Così ti dimentichi chi sei), mamme che cercano di rincorrere loro stesse e che quando si guardano allo specchio non vedono altro che il buco nero del senso di colpa.

Perché come vada e come non vada trovare la giusta via tra l’egoismo e l’annullamento è una formula magica di cui pare impossibile conoscere il segreto.

Quando ho scoperto che sarei diventata mamma non avevo idee e nemmeno modelli. La maternità mi è capitata nelle pieghe di una vita che andava verso altro (il mio lavoro, lo studio, il master, i libri, la ricerca filosofica). Quello schermo che mi indicava: incinta 3+ è stato il più grande colpo di scena della mia esistenza e come spesso accade ai colpi di scena, ha messo a dura prova l’eroina della storia, ovvero me.

Sin dai primi mesi di gravidanza mi sono accorta di una discrepanza enorme tra quello che si dice (e si vede nelle foto sui social network) e quello che è. Foto di madri con pancioni leggiadre e sorridenti, mentre io morivo di stanchezza e stomaco che si contorceva su stesso per i primi tre mesi e poi la stranezza di vedere il mio corpo mutare, crescere a dismisura, senza che potessi controllarlo. Ho fatto diete, esami, ginnastica sulle palle da pilates ma niente da fare. Ero spaventata di non poter tornare più come prima e, soprattutto, mi sentivo in colpa: come era possibile che non fossi grata ed entusiasta dei miei 20 chili (che poi sono diventati quasi 27 a fine gravidanza…) che rappresentavano la vita e – quella che dicono- la più grande gioia?

Ero convinta di essere l’unica, quella sbagliata, la solita non in grado di apprezzare le bellezze semplici della vita … ma un giorno particolarmente sballata dagli up and down del nono mese ho pubblicato un post sulla mia pagina Instagram in cui ho raccontato con quanta più autenticità sentivo di poter trasmettere le mie emozioni. E ho scoperto di non essere sola. Per me l’attesa era stata un momento ambiguo diviso tra aspettative, felicità, ma anche riflessioni su me stessa che non potevo silenziare: che ne sarà di me quando diventeremo due?

Una delle più grandi bugie che vengono raccontate è che non solo la maternità sia una inattaccabile gioia , ma anche che la te mamma sarà una te certamente diversa da quella che c’era: ubriacata dalla meraviglia del figlio, lascerà le sue priorità stravolgersi, felice e immediatamente soddisfatta dell’esserino che ha partorito- con dolore, sì, ma tanto si dimentica subito.

I primi tre mesi con Orlando sono stati uno dei periodi più faticosi della mia vita. Il parto mi ha richiesto più tempo di recupero del previsto. L’allattamento- che viene narrato sui social come la cosa più “bella e naturale” che una mamma possa sperimentare- per me è stata una grande fatica. Diventare mamma mi ha messa alla prova, ha rotto gli schemi. Non solo perché “non si dorme”, ma perché un figlio ti espropria di tempo ed energie ad un livello impossibile da immaginare prima.

Ho scoperto nuovi gradi di fatica, l’ansia, la necessità di avere attorno una rete che non mi lasciasse sola.

Io che ho sempre amato la solitudine mi sono ritrovata terrorizzata dai momenti di vuoto.. quando eravamo solo io e quel bebè che ancora non riuscivo a comprendere.

Viviamo ancora immersi nello stereotipo “della madre” che è perfetta, inimitabile, ineguagliabile. Che non vuole altro che annullarsi per il bambino, che anche se prova fatica, non le pesa perché compensata dall’amore.

La verità è che l’amore c’è, ma la fatica anche. Non ci sono formule magiche o regole. Ci sono mamme che odiano allattare, altre che lo amano, mamme che si sentono tali da quando vedono la lineetta sul test, altre che invece devono aspettare un po’ di più.

Ci sono donne, che sono anche madri, ma soprattutto sono persone, che serenamente mettono tra parentesi il lavoro per un po’, altre che invece – per la loro salute mentale- hanno bisogno di riacciuffare tutte le sfaccettature della propria identità in un arco di tempo non troppo lungo.

Il viaggio della genitorialità è un percorso ad ostacoli che necessita di rompere regole, barriere e mitizzazioni.

Ognuna è mamma a modo suo. Nella sua forma di libertà, consapevolezza e desiderio.

In quel percorso che è meraviglioso ma anche burrascoso, ambiguo e ambivalente, come tutte le storie d’amore.